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Mamma Natuzza
Mamma Natuzza 31 maggio 2006
Alle 16.30 (di ieri) mamma Natuzza è già in attesa dei suoi figli, seduta nel cortile
della Fondazione Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime. Qualche minuto prima,
alle 16.00, ha versato a fatica, la prima colata di cemento che ha dato inizio ai
lavori di costruzione della grande chiesa intitolata alla Vergine. Siamo andati per
chiedere informazioni sullo svolgimento della serata.
La donna delle stigmate, con il dono della bilocazione. Alla quale appaiono i morti
e che riesce a capire, a secondo di chi gli si presenta davanti, dalla posizione
dell’Angelo custode, se questi è un sacerdote oppure no. La donna che rivive, ogni
anno, durante la settimana santa, nel periodo pasquale, la passione di Gesù Cristo,
con tutte la sofferenze e le ferite che ne conseguono.
Ecco chi è Natuzza Evolo, colei che fin da bambina ha sudato sangue. Sangue che,
se asciugato, lascia impresso sui fazzoletti e sugli indumenti con i quali viene
a contatto scritte in latino con impresse immagini religiose. Natuzza Evolo, l’umile
figlia di uno sperduto paesino della nostra martoriata terra di Calabria alla quale
da ogni dove, persone di qualsiasi ceto sociale, si rivolgono anche per un semplice
consiglio e alla quale “molto giovane, come una ragazza di quindici, sedici anni,
vestita di bianco, con la pelle scura, sollevata da terra e tutta piena di luce”
è apparsa e continua ad apparire sotto il titolo di “Cuore Immacolato di Maria Rifugio
delle Anime” la Madonna.
In dialetto stretto dopo averci baciati ci dice gentilmente che lei anche se lo volesse
non potrebbe dirci nulla, perché non sa nulla, e ci indirizza da padre Michele Cordiano,
direttore del Centro per Anziani, struttura facente parte della Fondazione. Ecco
chi è Natuzza Evolo, l’umile donna di Paravati, “il verme di terra”, così ella si
definisce, che per imperscrutabili disegni del Signore, riesce ad attirare a sé,
da decenni, gente famosa e non, proveniente da ogni dove e di ogni ceto sociale.
Dipinti su tela di Grillo Kety
Testo di Giuseppe Currà